giovedì 30 marzo 2017

Imprinting


Il mio luogo d’imprinting è quella che io chiamo la
Casa delle Scale.
Principalmente sono rimasta colpita dal suo giardino. Un intreccio continuo di scalinate, con parapetto classicheggiante, dove si vede l’inizio ma non sembra mai arrivare una fine. Il giardino è appoggiato alla collina in una della insenature del lago.
La casa si trova alla fine del lungolago di Anguillara (dove ho vissuto praticamente tutta la mia vita), nascosta dietro l’ultima curva che porta alla fine della passeggiata. Capitava sovente la passeggiata di domenica, ed ogni volta speravo di arrivare dietro quella curva per poter ammirare con curiosità, ed anche un po’ paura, quelle scale che mantengono tutt’oggi l’incanto che mi aveva colpito all’epoca.
I miei occhi, e il mio cuore da bambina, le rendeva misteriose e proprietà di qualche essere stregato, o comunque spaventoso. Anche lo scenario su cui si affaccia l’abitazione, nascosta in cima alla scalinata, la presenza della principale chiesa del paese, stagliata lì in alto, l’infestante vegetazione (ancora oggi provo molta stima per il povero giardiniere; sì, ogni tanto il giardino era curato), e il fatto che non ho mai visto in tanti anni NESSUNO in quel giardino, ha sicuramente suggestionato la mia immaginazione.
Crescendo, con la maturata consapevolezza che in quella casa abbandonata la presenza di fantasmi, streghe e quant’altro, fosse abbastanza improbabile, ho iniziato a godere anche del lato artistico della scena che mi si presentava. La non curanza del cortile, all’epoca circa dieci anni fa, aveva permesso che la natura dominasse la pietra, inglobando le scalinate, e perfezionando nel tempo questa quinta tipo rudere nel bosco, che si fonde e si confonde. C’era un non so che di contemplativo e chimerico.
Ad osservarlo oggi con occhi più consapevoli e più informati, perde un po’ di quella magia che l’avvolgeva. La curiosità di entrarci (ho conosciuto i proprietari, ma ho visitato solo l‘abitazione) e la voglia di girare quella curva sono sempre le stesse, spinte dal fascino che le caratterizza.
Avete presente il quadro di Escher con le scale che salgono, scendono, si ribaltano e alla gente sembra non importare nulla e continua a fare quello che stava facendo? Ecco, pensando alla
Casa delle Scale è inevitabile l’associazione a quest’opera, e viceversa. Verso i 13/14 anni quando ho conosciuto la litografia, è stato come scoprire di prevedere il futuro.

In realtà ho anche un secondo luogo d’impring, ed è Castel di Tora.
Luogo d’origine dei miei genitori e dei miei nonni, è un paesino, nella Valle del Turano, popolato da circa cento abitanti in inverno, e in estate affollata meta caratteristica. Un immenso panorama montuoso verde viene tagliato da una lingua verde acqua (e non azzurro), un lago artificiale, che rende unico il paesaggio. Un tripudio di colori in primavera e in estate, tra ciliegi, vigne, meli, orti, susini, rovi di more, il lago e i tramonti che imbelliscono tutta la vallata. Io lo nomino come
Il Mio Posto nel Mondo, è un luogo anacronistico dove permangono le tradizioni e il rispetto della natura e l’amore per la terra sono ben instillati nelle menti di chi le vive.
Il riutilizzo delle vecchie stalle, evolute in bellissime casette di sassi, che creano un contesto continuo e variopinto, evita, o comunque rallenta il consumo di suolo lasciando l’ambiente naturale protagonista incontrastato del luogo. La natura, con la dirompenza dell’acqua, e il suo decidere sul costruito e di conseguenza su l’uomo, è chiaro quando con l’abbassamento dell’acqua escono fuori i resti di vecchi edifici, case, casali, ponti e mulini andando ad arricchire temporaneamente il paesaggio bucolico.


Questi sono i miei luoghi impressionanti: impressionanti per i ricordi a cui sono legati; impressionanti per le emozioni che mi suscitano; impressionanti per la bellezza che li contraddistingue; impressionanti per la loro semplicità, ma non banalità.

venerdì 24 marzo 2017

i miei compagni di viaggio

Marinilla Educational Park, Giancarlo Mazzanti





Impianto di Trattamento e Purificazione delle Acque, Steven Holl




lunedì 13 marzo 2017

Scelte progettuali



Sopralluogo 8Marzo

Quartiere Prenestino-Tor Sapienza

Ponte interrotto, Complesso residenziale Viale Morandi

UNLost territories # 25

UNLost territories # 27

UNLost territories # 28

MAAM





Alcune opere all'interno di Metropoliz

Sullo sfondo l'opera di Alice Pasquini che accoglie all'ingresso della ludoteca

Opera "Black Holes" di EPVS

Abitazione privata

Varie opere nei corridoi delle sale espositive

Installazione all'interno della mensa




martedì 7 marzo 2017

-Mario Merz-

Il senso dell'arte antica era più adeguato a quello che era la vista,
il senso dell'arte moderna è quello vista spesso non può vedere.
C'è l'Arte nostalgica, e c'è l'Arte che in fondo della nostalgia non sa cosa farsene


Mario Merz nasce a Milano nel 1925. E' stato artista, pittore e scultore dell'Arte Povera. Cresciuto a Torino inizia a frequentare la facoltà di medicina, che abbandonerà durante la Guerra per unirsi al movimento antifascista Giustizia e Libertà. Nel 1945 durante un anno di prigionia, sperimenta un tratto grafico continuo, senza mai staccare la punta della matita dalla carta. Già in questi difficili anni di Guerra la sua poetica è orientata verso l'organico, la natura la vita.
Nel 1954 tiene la prima personale presso la Galleria La Bussola a Torino, dove espone disegni e quadri i cui soggetti rimandano all’universo organico e dai quali emerge la conoscenza dell’Informale e del linguaggio dell’Espressionismo Astratto americano. Dalla metà degli anni Sessanta il desiderio di lavorare sulla trasmissione di energie dall’organico nell’inorganico lo porta a realizzare opere in cui gli oggetti di uso quotidiano, divengono forme plastiche attraversate dal neon che, come linfa vitale è portatore di energia.


A partire dal 1968 prende vita l'Igloo. Forma archetipa che segna il nuovo corso della sua carriera. E’ la “casa” primitiva, provvisoria, un luogo di rifugio, simbolo di una cultura nomade, ma anche ambiente di incontro, dalla forma semplice e organica, generata dai materiali più vari

Object cache-toi, 1968


L'artista ribadisce la non importanza dei materiali, essi non vengono scelti per delle caratteristiche specifiche, sono semplicemente il mezzo per creare delle concatenazioni di elementi, ma in un nuovo ordine. Non è mai accumulazione ma proliferazione, sviluppo, crescita.

Seguono interventi ispirati alla sequenza matematica di Fibonacci, che comprende tutti i numeri dallo zero all’infinito, secondo la quale ogni numero corrisponde alla somma dei due precedenti. Una progressione che nello spazio dà luogo a un tracciato curvilineo o a un movimento a spirale, proposta da Merz come il principio universale di accrescimento vitale del mondo organico.

Fibonacci Tables,1974–6


Tavola a spirale, 1982

Dalla seconda metà degli anni Settanta, e soprattutto negli anni Ottanta, Merz ritorna all’arte figurativa, che lo riportano ad una rielaborazione di forme organiche e animali arcaici. Figure primordiali, coccodrilli, rinoceronti, leoni, che condividono gli spazi con scritte al neon o altre presenze luminose.


Terrazza nera in forma di animale, 1997-2000

La sua arte appare animata in fondo da una logica ciclica, un unico grande principio: la spirale. Essa può cominciare molto piccola, esigua, e arrivare a coprire degli spazi formidabili. È un disegno, si sottomette ai numeri, aumentando la dimensione tra numero e numero la spirale cambia, muta di aspetto. La sequenza di Fibonacci genera una spirale perfetta, il cui dinamismo è la crescita di un oggetto-essere nello spazio, è la legge interna alla natura, che nel suo dinamismo continuo racconta il movimento cosmico.



Bibliografia:
wikipedia
cooltura
MarioMerz

arteRai

-Cy Twombly-

Il labirinto è forse la più congrua rappresentazione della storia. Lo è certamente per la Storia dell'Arte. Il labirinto inteso come delta di possibilità, tracciato inestricabile di strade,
Dedalo di ipotesi


Cy Twombly nasce in Virginia nel 1928, a dodici anni inizia a prendere lezioni d'arte private, iniziando così un percorso artistico che lo porterà a frequentare diverse scuole d'arte e a conoscere diverse figure artistiche che lo influenzeranno durante la sua carriera artistica.
Nel 52 riceve una sovvenzione da parte del Museo delle Belle Arti della Virginia che lo incoraggiano a viaggiare in Nord Africa, Spagna, Italia e Francia. 


 Casa romana dell'artista, Roma, 1966
                                                    

Nel 57 si trasferisce a Roma dove conosce l'artista Tatiana Franchetti, si sposano 2 anni dopo a New York e comprano un palazzo a Roma. 
Verso gli anni 90 decide di ritirarsi in una casa-studio a Gaeta, fino alla sua morte avvenuta nel 2011 a Roma.

-Ogni linea è ora l'esperienza effettiva con la sua storia innata. Non illustra.
E' invece la sensazione della sua realizzazione-

Il segno e il colore sono gli strumenti che alternativamente agiscono sulla conoscenza accendono e spengono sensazioni, producono narrazioni che non hanno una storia, se non la storia stessa del narrare. Le parole quindi entrano sullo schermo della pittura per dilatare il senso, non per dichiarare gli esiti. Sono passioni che la parola rende riconoscibili.




A Roma ha l’avvio il suo lavoro di scultore con le prime sculture astratte nate nel bianco. Qui inizia l’affermazione del suo stile personale. Creava arte dall'assemblaggio di oggetti di scarto.





In Italia, Twombly assume la cultura classica attraverso la parola che è di per se la vera testimone della Storia. Roma, per Twombly è la città antica e moderna, una piazza aperta sul teatro del mondo che raccoglie tutte le sollecitazioni culturali più pregnanti.


La caduta di Iperione, 1962, Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma

Le Quattro Stagioni: Autunno, 1993-5, Museo dell'arte Moderna, New York


I primi anni sessanta per Cy Twombly sono gli anni in cui si immerge nella cultura italiana. In questo periodo l’azione automatica prodotta dal segno si alterna a grumi di colore e l’inconscio lascia risalire la storia della pittura attraverso la storia nuova. La sua è una pittura colta, mai casuale.
Dal 1966 la pittura di Twombly recupera una dimensione mentale. La stessa tendenza alla semplificazione, che denota un avvicinamento alle poetiche delle strutture primarie e del concettualismo, si avverte nelle sculture, che l’artista torna ad eseguire dal 1976.
Le sue sculture successive mostrano un mix di espansività emotiva e raffinatezza intellettuale.


La storia di Twombly è una storia senza fine, così come le sue opere che propongono una matassa di segni che si ingarbuglia e si scioglie, si irrigidisce o si diluisce con la stessa intensità dell’energia cerebrale.
In un saggio nel catalogo della mostra Dulwich 2011, Katharina Schmidt riassume la portata e la tecnica dell'artista:

"Il lavoro di Cy Twombly può essere inteso come grande impegno di memoria culturale. I suoi dipinti, disegni, sculture con soggetti mitologici danno forma ad una parte significativa della memoria. Di solito attingendo a gli dei e a gli eroi più familiari, si limita giusto a un paio di episodi, i più noti, già narrati da poeti e storici, ripetutamente reinterpratati in letteratura e nell'arte. Partendo da un segno puramente grafico, ha sviluppato una sorta di meta-script, in cui abbrevia segni, tratteggi, numeri e il più semplice dei pittogrammi sparso sul quadro, si trova in un incessante processo di movimento, più volte sovvertito da cancellature, trasformato esso stesso in uno script. [...] Nelle opere di Twombly un apparente caos, definisce un originale ibrido in ordine, che a sua volta illumina un complesso senso dell'esperienza umana non espresso"




Bibliografia: